Dolomiti del Brenta - Le Bocchette centrali

Ferrata SOSAT


Giovedì 17 luglio, sono le cinque e mezza di una chiara e incoraggiante mattina, il sole ancora dorme, esco dall’hotel, sistemando la piccozza dietro lo zaino. E’ luglio, ma la picca e i ramponi serviranno, perché il tentativo è di fluttuare a 2800 metri sulle pareti dei colossi del Brenta, attaccato a qualche cavo d’acciaio e scalette. Mi incammino da Madonna di Campiglio verso Vallesinella, a quell’ora non c’è l’ombra di un mezzo pubblico. La strada asfaltata si infila tra boschi in penombra, passa un’auto, un’altra, che si ferma. E’ la provvidenza, non perché abbia timore di affrontare quelle rocce da solo, ma il piacere di farlo in compagnia, in ottima compagnia. Francesco, viene da Merano, 68 anni, si potrebbe pensare: “ma andare con un vecchietto…” Ne conosco di vecchietti terribili, che danno la pista a baldi preparati giovani. E così sarà, una sintonia di ritmo, aspirazioni e soddisfazioni, che si consoliderà nel corso di una indimenticabile giornata. Francesco vuole provare le Bocchette Centrali per un suo progetto, vuole portare suoi amici a provare l’ebbrezza di una vera ferrata. Il piano prevede di salire per il sentiero che raggiunge in successione i rifugi Casinei, Brentei, fino alla Bocca di Brenta. Le pause sono doverose, la grandiosità dei paesaggi e i colori meritano numerosi momenti di contemplazione, costante è di fronte la presenza della parete Nord del Crozzon di Brenta. A circa quota 2450 troviamo il tratto ghiacciato della Vedretta Bocca di Brenta, la cui ultima parte, molto ripida, ci fa giocare d’equilibrio. Uno sguardo al Rifugio Pedrotti in basso verso sud, poi scendiamo leggermente per trovare l’attacco della celebre Via delle Bocchette, il tratto delle “Centrali” che termina alla Bocca d’Armi. Indosso imbraco, casco e moschettoni e inizia l’avventura. Il percorso si snoda tra arrampicate in libera, di II grado, salite su scalette e gradini, il tutto nella massima verticalità! Lo sguardo è proteso in su a scorgere la sommità, ma le pareti sembrano non finire mai! La ferrata è molto bella, mai noiosa, i panorami catturano gli occhi, il tempo si ferma in attimi infiniti, tale è l’emozione di viverli. I versanti est e ovest si alternano, per donarci colori diversi e angolazioni curiose dei mastodontici torrioni, che si gettano in abissi infiniti, ora nel verde della rada vegetazione, ora in un grigio mare di nebbia che ne fa assumere i toni di epicità. Francesco è una persona deliziosa, passa il tempo raccontandomi delle sue esperienze di montagna, di notevole rispetto, alternando con racconti della sua vita di atleta, di padre, di umile lavoratore. A tratti con emozione rivedo in lui il mio papà. Una vera fortuna aver trovato un compagno della sua grandezza. Il percorso attraversa espostissime cengie, ma i tratti più complicati sono gli attraversamenti di nevai verticali, che coprono i cavi e ci costringono a fare alcuni metri su scalini di neve larghi dieci-quindici centimetri, senza assicurazione, con la sola piccozza, e 500 metri di baratro sotto. Sono momenti delicati, dove massima è la concentrazione, e tutto va per il verso giusto. Il tragitto della ferrata è meraviglioso, costeggiamo quasi le sommità del campanile Basso, l’Alto, la Cima dei Sfulmini, sino a raggiungere la Bocca d’Armi, dove il tratto delle Centrali termina, a sinistra imponente la Cima Brenta sembra si possa toccare con le dita. La discesa per la Vedretta dei Sfulmini è veloce, in breve raggiungiamo il rifugio Alimonta, dove ci gustiamo un piattone di pasta. Siamo in anticipo con i tempi, quindi propongo a Francesco di arrampicare anche la ferrata SOSAT, naturalmente ne è ben contento, quindi verso l’una attacchiamo la seconda ferrata della giornata. Più semplice nel complesso, ma panoramicissima e molto lunga, si snoda sul versante occidentale del gruppo di Punte di Campiglio e Cima Mandron, con il costante panorama della profonda Val di Brenta a sinistra. Anche la SOSAT ci regala una situazione delicata, un traverso di 20 metri di scalini, in discesa, strapiombante al punto di non vedere lo scalino successivo, con il piede a penzoloni. Inizia poi la discesa, il percorso ora attraversa una vasta distesa di enormi massi, alle pendici di Punta Massari, per fare poi un largo tornante, fin quasi sotto la Bocca del Tuckett, e arrivare infine all’omonimo rifugio, dove ci rilassiamo un po’. Si scende, purtroppo, il sentiero passa vicino una vecchia teleferica, e in breve raggiungiamo prima il rifugio Casinei e quindi il Vallesinella. La giornata di montagna si è conclusa, alla grande, le emozioni rimarranno indelebili dentro di me, come il pensiero di Francesco, con la sua costante e rassicurante presenza, e il suo buon cuore. Ci salutiamo con tenerezza, lui prosegue con l’auto verso Merano, io a piedi per le strade di Madonna di Campiglio, fiero di aver provato le emozioni che mi ha regalato questa parte delle Dolomiti di Brenta. 11 ore e mezza, 36 Km, 1900 metri di dislivello.